DONNE GIUSTIZIA LIBERTA' (DI STAMPA)
Per la Giornata internazionale dei diritti della donna anche il nostro Gruppo pensionati di Sicilia vuole contribuire ai racconti, le cronache, le riflessioni che in tutto il mondo celebrano in questo giorno un cammino corale verso un futuro di pieni diritti riconosciuti e condivisi per una democrazia realmente paritaria
SAMAN ABBAS, GUERRIERA PER AMORE
di Claudia Mirto
Saman, Saman Abbas. 18 anni, pachistana, bella, innamorata, tenera, risoluta, impavida guerriera d’amore e libertà. Saman che usa piercing alle orecchie e al naso, che non vuole chinare la testa ad un matrimonio deciso dai suoi genitori, un cugino. Saman che fugge in Belgio, poi scappa dalla casa famiglia, denuncia i genitori per costrizione al matrimonio. Saman che si fa fotografare abbracciata e baciata dal suo fidanzatino per le strade di Bologna. Saman su Tik Tok, che sorride. 30 aprile 2021: Saman che carica il suo zainetto, segue a testa bassa la madre e il padre di notte lungo le serre di Novellara in provincia di Reggio Emilia dove la famiglia si era trasferita da sei anni, e lì, a 700 metri da casa, viene strangolata uccisa e sepolta ad un metro sotto terra dai suoi familiari. Cugini zii e padre che ora si accusano a vicenda. Parenti ripresi dalle telecamere con pale e secchi due giorni prima del delitto.
I suoi genitori all’indomani scappano per il paese natio. Alla dogana il marito alza la mascherina alla moglie e le dice “sorridi” e lei lo fa. Pochi giorni fa al processo che vede coinvolti anche gli zii, la madre dirà “Sono morta con lei quella notte”.
In quella regione sono circa 25 mila i pachistani che vivono, lavorano e hanno casa. Più di 8.000 sono donne, le madri a casa, le ragazze a scuola, molte solo fino alla licenza media. Saman era brillante negli studi, avrebbe voluto fare il medico. Saman sapeva che in Pakistan al 151mo posto su 153 nazioni studiate dal Global Gender Gap Report il delitto d’onore era stato abolito nel 2016, ma che ogni anno 5000 donne nel mondo vengono uccise con la colpa di avere disonorato la famiglia. Saman sapeva anche che in Italia dal 2019 con la legge denominata Codice Rosso la costrizione ad un matrimonio forzato è reato. Per questo probabilmente aveva fatto denuncia, aveva scelto un fidanzato pachistano con casa a Roma ed aveva creduto nella tutela della nostra legge. Una sfida alle sue origini, ad una cultura che ritiene il delitto d’onore monito alle donne, espressione di virtù comunitaria con codici in una catena di orrori: pianificazione, avvertimento alla vittima, coinvolgimento di più membri della famiglia, nonni inclusi, e infine, come è avvenuto a Novellara, morte su commissione alla presenza della madre, testimone e complice.
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ORRORE: UCCIDERE SENZA MOTIVO ROSALBA
di Gaetano Perricone
Ricapitolando: nel tranquillo paese di Giarratana nel Ragusano, Mariano, operaio di 66 anni in pensione da due anni a quanto pare depresso perché schiffarato, si arruspigghia (sveglia per gli amici nordici) una mattina, prende un coltello da cucina, scende al piano di sotto e ammazza apparentemente senza alcun motivo o movente la cognata dormiente, Rosalba, 52 anni, mamma di tre figli, a detta di tutti una bravissima cristiana, molto impegnata ad assistere la mamma malata e anche nel sociale. Con i carabinieri l'assassino si sarebbe giustificando dicendo di avere "fatto una fesseria".
Questa storia mi turba assai, mi fa scantare (spaventare) troppo. Non ci sono parole. Depressione, follia, spirito di emulazione per tutto quello che si vede in giro: interpretazioni plausibili, ma niente può spiegare e soprattutto rendere accettabile una orrenda nefandezza come questa. La verità e che la vita umana non conta quasi più un cazzo, meno che mai, lo dico con infinita tristezza, quella di tante donne. E la cosa più grave di tutti è che del fuodde (folle) Mariano e della povera Rosalba già domani non gliene fotterà più niente a nessuno. Punto. Avanti con la prossima
Ps: magari un avvocato sperto riuscirà a fargli mitigare la pena con l'incapacità mentale. Sarebbe il degno finale di questa storia orrenda, emblematica di questi tempi mostruosi.
Nella foto: la vittima Rosalba Dell'Albani
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IRAN: NIENTE SCUOLA PER LE PICCOLE DONNE
di Maria Lombardo
Allontanare dalla scuola per evitare la presa di coscienza e il bisogno di ribellarsi agli abusi: è un nuovo modo, subdolo, in Iran per respingere la protesta delle ragazze contro il velo, simbolo di sottomissione. Campagna contro l’istruzione delle donne scatenata già in Afghanistan.
Quasi 900 studentesse avvelenate o intossicate in pochi giorni. E il numero continua crescere. Il governo dichiara di aver aperto indagini ma a chi giova allontanare le ragazze dalla scuola e dall’università?
Sono trascorsi vent’anni dalla morte a Teheran di Zahra Kazemi, giornalista iraniana che viveva a Montreal, che con regolare permesso voleva seguire le manifestazioni di protesta degli studenti e della gente comune. E sei mesi fa moriva Mahsa Amini arrestata a Teheran perché non indossava correttamente l’hijab, diventando simbolo della protesta.
Azar Nafisi scrittrice e attivista trapiantata negli Usa ha raccontato con “Leggere Lolita a Teheran” (2003) la storia di un’insegnante di letteratura e di un manipolo di studentesse che hanno resistito all’oscurantismo del regime leggendo e condividendo riflessioni su opere del canone letterario occidentale.
Nafisi ha detto: “Hanno bocciato i libri e ucciso le persone. In una società totalitaria si vogliono uccidere tutte le voci, togliere la possibilità di scelta”. Coraggio iraniane e afgane, continuate a studiare e a lottare per la libertà.
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PIÙ DONNE E SEMPRE PIÙ IN ALTO
di Roberto Leone
Nelle sere della primavera del 2004 non era rado ascoltare, prima solo nelle strade di Bari poi man mano anche in quelle di molte altre città, una voce che ripeteva in continuo “metti a Cassano”, “metti a Cassano” “metti a Cassano”. Era lo spot elettorale di Michele Emiliano candidato sindaco del capoluogo pugliese, che in una geniale interpretazione faceva riferimento alle partite della Nazionale italiana impegnata nel campionato europeo in Portogallo e in cui un vecchietto incitava l'allora commissario tecnico degli Azzurri a inserire Antonio Cassano, talento spesso discusso del calcio italiano, nella formazione per “dare una svolta alla partita”, spot che si concludeva con l'invito a votare Michele Emiliano per “dare un svolta al Comune”.
Oggi non tutti ricordano Antonio Cassano calciatore, ma c'è un'altra Cassano che ha segnato con una svolta storica la vita politico e sociale italiana, essendo stata nominata presidente della Corte di Cassazione, prima donna da quando il genere femminile e cioè da sessant'anni, è ammesso
svolgere la carriera in magistratura. Margherita Cassano, fiorentina di origine lucana, ha scalato tutti i gradini della carriera indossando la toga per la prima volta nel 1980, passando al Csm nel 98, tornando a Firenze come presidente della Corte d'appello, e poi approdando in Cassazione dove ha scritto una delle sentenze più importanti degli ultimi anni e cioè quella definitiva della condanna per associazione mafiosa esterna contro Marcello Dell'Utri. Margherita Cassano succede a Pietro Curzio di cui è stata vicario negli ultimi anni e rappresenta oggi un uno dei passi più importanti della presenza delle donne nelle istituzioni, forse oltre di quelle della presidente del consiglio Giorgia Meloni e nella nuova segretaria del PD Elly Schlein. Queste ultime, infatti, sono espressione importante ma certamente politica e dipendono dagli equilibri tra i partiti di quelle maggioritarie all'interno degli stessi, la Presidenza della Corte di Cassazione e cioè del vertice della magistratura ha un valore istituzionale ancora più alto considerato che nella nostra costituzione si tratta di uno dei poteri fondamentali della Repubblica.
Margherita Cassano, Giorgia Meloni, Elly Schlein, sono gli esempi più evidenti nella trasformazione di questi ultimi anni del panorama nazionale in cui le donne hanno conquistato posizioni vertice sempre più importanti. Se guardiamo alla Sicilia non possiamo dimenticare che proprio nelle ultime settimane è stata nominata una donna alla guida dell'Irfis e cioè l'istituto che concede alle imprese i crediti necessari al loro sviluppo. Jolanda Riolo, imprenditrice palermitana, indicata dal presidente della Regione Schifani, è stata eletta dall’assemblea dei soci e succede a Tommaso Dragotto. Jolanda Riolo ha studiato a Milano alla Bocconi e poi da anni segue l'impresa di famiglia che è tra le più conosciute a Palermo nel campo nelle concessionarie automobilistiche. E veniamo alla nostra famiglia di giornalisti dove nell'ultimo anno abbiamo assistito a una vera e propria rivoluzione femminile. L'anno scorso, infatti, nel giro di pochi mesi dopo moltissimi anni è tornata alla Presidenza della Assostampa una collega Tiziana Tavella. Prima, nella ultradecennale storia del sindacato unitario dei giornalisti, soltanto una volta era successo con Marina Pino, mentre subito dopo alla Presidenza nel gruppo cronisti è stata chiamata Claudia Brunetto e infine l'Assemblea dei pensionati siciliani ha eletto Claudia Mirto alla guida del gruppo. Entrambe le cariche non erano mai state ricoperte da donne. Un'importante svolta nella vita associativa della stampa siciliana che ha quasi anticipato le conclusioni del Congresso nazionale che si è svolto a Riccione all'inizio di febbraio in cui nuova segretaria nazionale della Federazione nazionale della stampa è stata eletta Alessandra Costante.
Un'ampia, importante e nuova rappresentatività, dunque, anche all'interno del sindacato a tutti i livelli, locale e nelle varie espressioni della categoria. Una nuova diffusa sensibilità, quella femminile, che non solo rende giustizia sul piano numerico, visto che ormai anche nel giornalismo sono le donne a essere in maggioranza, ma che soprattutto introduce una serie di qualità che rendono la vita associativa più aderente alla realtà in cui viviamo.
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E’ TUTTO LÌ, IN UN NUMERO. IL ’68. CIOÈ UN PRIMA E UN DOPO
di Giancarlo Mirone
Prima tutto scivola da sempre su sedimenti rocciosi che veicolano sudditanza e un immobilismo che tarpa la capacità (la voglia, la necessità) di promuovere grammatiche nuove nell’arena sociale, dove lo sbilanciamento uomo-donna è sbilanciato assai. Fino alla prima metà del novecento la donna è ancora e sempre l’iconica madre e sposa esemplare, angelo del focolare, tutta casa e chiesa, approdo accogliente del guerriero. Il porto sicuro e silente che permette al suprematismo maschile un governo senza scossoni e ancora e sempre prevaricante.
Dopo deflagra l’incendio, la swinging life, i nuovi propellenti politici e culturali, insomma il desiderio di un mondo a colori, consentono al grande e fin qui incatenato flusso carsico femminile di guadagnare il mare aperto. Le battaglie civili, l’abbattimento degli stereotipi, la consapevolezza di non essere più solo l’altra metà del cielo ancillare, diventano slavina e valanga che cominciano a drenare lo sbilanciamento.
Oggi è indiscutibile che il fossato sia stato ridimensionato. Nelle arti e nei mestieri e nella quotidianità le gerarchie si sono sfarinate. Dovunque e a tutti i livelli le donne hanno conquistato significativi e ampi spazi di territorio. Però c’è ancora margine opaco. Tuttora, per esempio, quando ai piani alti si acquartiera una donna, l’opinione corrente guarda all’evento come accadimento straordinario. Non c’è insomma ancora consapevolezza e accettazione di un evento ordinario.
Tuttavia, nonostante che le buche non siano state tutte bitumate, il peggio è passato.
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OLTRE OGNI 8 MARZO QUESTIONE FEMMINILE O MASCHILE: QUESTO È IL PROBLEMA
di Egle Palazzolo
Ho bisogno di una premessa per dire oggi dell’8 marzo: è vero che compie ufficialmente 50 anni la giornata internazionale della donna? Perché dobbiamo riflettere se davvero se li porta bene malgrado una vita non facile e, a vari livelli, combattuta. Pur sembrando che abbia sempre dato leggibile identità al suo percorso, tuttora deve mettersi in conto che le bandierine piazzate non riescono a indicare vittoria piena. Malgrado evoluzioni e mutamenti, “persona” non vuole ancora dire essere umano, creatura, soggetto, senza che vi si mescoli quella differenza di genere, che rimarrebbe lecita se non intaccasse tuttora eguaglianza e, malgrado ogni conquista, parità vera, possibilità di crescita e di inserimento, riconoscimento di meriti e qualità. Il fatto di consacrare una data e dedicarla alla donna, in parte derivò, come spesso si ricorda, la morte di un centinaio di operaie travolte nell’incendio di una fabbrica di camicie, la Triangle, pare, a New York, nel desiderio, pagato sulla propria pelle, di una autonomia, che pur nella fatica e nell’anonimato, permettesse loro di uscire da una sorta di sbarramento domestico, compensasse un lavoro, col guadagno, le rendesse socialmente individuabili. Erano i primi del Novecento e al femminile non si coniugava che ben poco. Distinguersi, imporsi, farsi notare, non solo non era la regola ma non era frequente. Eppure, sin dopo le cattiverie di Eva, a pescare nelle pagine più antiche, nella cultura ai suoi primordi, la donna un suo protagonismo lo aveva sempre indicato. Per non parlare del mito e rivolgere un pensierino a Cerere. Pittura, musica, insegnamento, inventiva sono sempre state anche suo patrimonio. Ma un secolo dopo l’altro, la condizione della donna è scivolata in una sorta di gorgo sociale dove regole e consuetudini ne hanno fatto il sesso debole. Dove conquista era, stare a fianco di un uomo che le desse status e, dopo il padre, quando andava bene, si prendesse, a suo modo, cura di lei. In questa direzione fu forse l’Ottocento il secolo che ratificò tutto questo, davvero il periodo più oscuro che segnò fra trine e corsetti, la subalternità della donna all’uomo, la femmina al maschio e segnò solo come eccezione qualche esempio diverso. Ma col Novecento il cambio di prospettiva si avverte, il femminismo diviene una “rivoluzione”, le piazze da nord a sud si affollano di donne che rivendicano con lucidità, con rigore la parità, l’indipendenza, il lavoro e soprattutto l’eguaglianza dei diritti.
Oggi ad esaminare con attenzione quanto ottenuto, potremmo davvero stare tranquille e paghe nel risultato. E invece no. La “questione femminile” è ancora al tappeto, gravemente, pesantemente a danni di una autentica democrazia e soprattutto di una libertà che fuori da maschere e compromessi dia alla donna la possibilità di scegliere, di credere ai risultati reali della propria emancipazione. E l’8 marzo ritenuto in senso popolare la festa della donna e ridotta a mimose e a tavolate tra donne uscite senza uomo a fianco, ma col suo sorrisino di condiscendenza, è per fortuna in questo senso rientrato. Ci avranno perso qualcosa fiorai e ristoratori ma ci avrà guadagnato qualche nuova analisi, qualche ulteriore confronto. La coscienza donna anno 2000. Ci sono paesi in atto in cui la sofferenza della donna è tragedia, ci sono crudeltà e discrepanze che ci fanno orrore. Ci sono situazioni che ripugnano e che inducono a solidarietà sia pure non sufficiente, in tante parti di Europa. E anche da noi in Italia, in Sicilia dove tuttavia, comparativamente, segniamo il passo. E infatti fuori date di calendario, le donne restano vittime di crudeltà, di violenza, di morte e uno dei più gravi dati di cronaca è oggi il FEMMINICIDIO. Proprio in Italia dove, a tutela della donna, si è ottenuto un sistema di norme legislative forse le più avanzate rispetto ad altri paesi. Probabilmente, perché dimentichiamo una pagina che ha come titolo “questione maschile” della quale, ed è già tardi, dovremmo affrontare con ogni attenzione la lettura. Abbiamo il problema del maschio, di quel maschio impreparato che, laddove non abbia strumenti adeguati, si fa assassino, uccide la donna, spesso anche i suoi figli persino quando ne è il padre e a volte, a indicare il suo disadattamento sociale, l’omicidio come sua estrema risorsa, si suicida.
Ogni caso di cronaca nera che ci riporta immagini di donne dilaniate da ferocia, bruciate, orrendamente sepolte o annegate, ci indica aspetti che investono non solo parzialmente la vita di relazione. Nel delitto contro la donna con tutte le sue varianti c’è un segnale tragico che ancora individuiamo parzialmente E che è un virus dannato e talvolta latente che parla del nostro tempo. Di certo siamo lontani dall’emancipazione dell’uomo. La legislazione rimane nei codici, la sua applicazione, quasi sempre lasciata alla interpretazione maschile, lascia che, per fare un esempio, lo stolking non abbia risultati. Stiamo aspettando ancora che si prenda in mano il bandolo della matassa o continueremo a chiedere più case di accoglienza per le donne minacciate, picchiate, violentate, privandole di una vita normale, della loro libertà. E’ per l’uomo tuttora immaturo, incapace di civiltà, che occorre per allontanarlo dalla casa coniugale, un luogo dove trattenerlo e costringerlo a pensare al suo operato, attuare mezzi perché non ci riprovi. Occorre una occasione di ravvedimento quale la legge auspica durante uno sconto di pena anche se più volte non riesce a operare. C’è, innegabilmente una questione maschile che genera, condiziona e limita l’attuazione di una parità di genere. C’è un maschio impreparato a crescite e mutamenti, c’è una sua intima, connaturata sensazione di superiorità che senza protezioni culturali si trasforma in possesso, c’è un tempo sociale non parallelo fra uomo e donna per un reciproco, positivo riconoscimento di convivenza. Il rapporto di coppia è più vero, più autentico ma più difficile, la genitorialità più ardua. La donna di un tempo destinata a un ruolo di serie B che neppure la maternità riscattava, adoperava fin che possibile spazi alternativi in cui l’uomo non sentiva minacciata la sua priorità. Ora avverte il problema. Che è suo e che diventa il problema della donna. La non ancora risolta questione femminile. Quella delle scelte, delle libertà volute, gridate divenute leggi ma troppo spesso inapplicate. Che non riescono a fermare l’elenco di un femminicidio inaccettabile che rischia la consuetudine.
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RIAPPROPRIARSI DEL TEMPO È LA VERA RIVOLUZIONE DI GENERE
di Giuseppe Cascio
“Qual è il tempo delle donne?” Era l’8 marzo del 1974, quando “Realismo”, la rivista del Movimento Studentesco di Mario Capanna, si pose questa domanda, dando, contemporaneamente, una storica risposta: “il tempo delle donne è il tempo che le donne si danno”. La battaglia per la riappropriazione delle cadenze della propria vita, così, diede inizio ad una vera rivoluzione culturale. La dichiarazione di principio sulla gestione del divenire quotidiano, attimo per attimo, apre, infatti, una nuova era, perché la sua riconquista è il punto di partenza sulla via della liberazione di genere. In “Sorvegliare e punire”, peraltro, Michel Foucault indica proprio nel controllo sul tempo le basi del potere reale nello Stato moderno, mentre il semplice possesso del corpo apparteneva alle vetuste monarchie assolutistiche. Un’analisi certamente datata, che rende, comunque, bene l’idea che il riscatto delle donne passa attraverso la gestione del tempo, ancora prima della gestione del proprio corpo, rivendicata nella rivoluzione sessuale nata con le prime scintille del 68.
Sono elementi di una analisi storica dalla quale la narrazione dell’8 Marzo non può prescindere, perché non è possibile raccontare una giornata tanto importante se non si comprendono fino in fondo le radici storiche che l’hanno determinata, soprattutto nel nostro paese. Il controllo sul tempo, oltre al possesso del corpo e delle menti, fanno così parte integrante della lunga battaglia che le donne hanno intrapreso per riconquistare se stesse. Lidia Ravera, giornalista, scrittrice, autrice, insieme a Marco Lombardo Radice, di “Porci con le ali” (il romanzo scandalo sulle inquietudini giovanili che scosse le generazioni degli anni 70), proprio sugli organi d’informazione del Movimento Studentesco indicò quest’ottica “per la riconquista del tempo sulla via della liberazione”. Disse che il problema si gioca tutto sulla comprensione dei termini della battaglia, che è di sistema, in quanto implica la percezione che la società ha della donna nel suo contesto. Ma quando si parla di percezione, la responsabilità dei giornalisti è senz’altro implicita. La narrazione dei fatti implica, infatti, una scelta precisa sui codici da utilizzare nella comunicazione, dal linguaggio, alla carica emotiva del racconto. E’ un punto cardine, tecnico e deontologico, che ha rilanciato proprio Lidia Ravera ne “Il terzo tempo”, il blog che porta anche il nome del suo romanzo in cui la protagonista, Costanza, fa i conti con la vita che ormai scorre veloce. Anche in questo caso, la scrittrice pone l’accento sulla percezione che la narrazione, soprattutto quella giornalistica, pone sulle donne e sul loro tempo che scorre. Un uomo che invecchia, semmai e maturo. La donna è invece inchiodata allo stereotipo della sensualità. Nell’immaginario collettivo “…sfiorisce”, come se fosse una pianta…”.
“La parità sarà raggiunta solo quando anche noi donne potremo invecchiare serenamente come gli uomini – scrive Ravera – gli aggettivi usati per descriverci spesso ricordano quelli usati per gli ortaggi. In età avanzata possiamo essere ancora “fresche o “appassite”, mentre vorremmo essere semplicemente descritte come persone che, maturando, sono sempre più empatiche nel relazionarsi con gli altri”.
Donne che, magari, hanno scelto, nella gestione del tempo della loro vita, di non essere mogli o madri, ma che rivendicano ugualmente un posto di primo piano nella società civile.
E’ anche questa una maniera di descrivere il tempo delle donne di cui le donne stesse vogliono riappropriarsi.
Per non parlare poi dei resoconti di cronaca che certi giornali (molto spesso on line) fanno nel narrare aggressioni, violenze domestiche e femminicidi. Ma questa è un’altra storia e la racconteremo un’altra volta.