INPGI e allargamento della platea: chi ha interesse al fallimento del progetto?
Sulla questione del futuro dell’INPGI si registrano, in queste ore, una serie di interventi con i quali si sollevano dubbi e perplessità in merito al progetto di allargamento della platea degli iscritti dell’Ente rivolto verso le nuove figure professionali che gestiscono forme di comunicazione/informazione contigue con quelle tradizionalmente appannaggio della professione giornalistica.
Premesso che non è affatto un mistero che i conti della gestione previdenziale dei giornalisti dipendenti presentino saldi negativi e che tale andamento sia dovuto in via pressoché esclusiva alla contrazione dell’occupazione dipendente in ambito giornalistico, è necessario sottolineare che la proposta di allargamento della platea affonda le proprie radici non tanto nell’esigenza di riequilibrare i conti dell’Ente quanto, piuttosto, sull’analisi sostanziale dello scenario complessivo della realtà contemporanea del mondo dell’informazione e della comunicazione, caratterizzato dalla rapidità di evoluzione dei sistemi tecnologici e dei comportamenti sociali e nel quale si assiste a fenomeni di costante trasformazione e parziale sovrapposizione dei ruoli e delle funzioni tra i diversi operatori.
Prendere atto di questo fenomeno e intercettarne gli sviluppi futuri, avviando un processo di riconoscimento identitario delle nuove figure professionali in chiave di welfare e protezione sociale – immaginando un polo unico previdenziale – è, in estrema sintesi, il concetto di fondo e l’essenza stessa del progetto, la cui sostenibilità, sul piano economico finanziario, è ampiamente dimostrata da studi e proiezioni elaborate da esperti indipendenti.
Ma, al di là di ogni considerazione sul merito della proposta – aperta, ovviamente, alle legittime considerazioni provenienti dai diversi organismi rappresentativi delle Categorie interessate – si registrano, come detto, interventi che lungi dall’essere classificabili come espressione di un confronto costruttivo sui temi della questione, si pongono al di fuori di ogni dialettica e invocano, quale unica soluzione al problema, il commissariamento dell’Ente.
Nel ricordare che tale procedura, nel sistema ordinamentale delineato dal decreto legislativo n. 509/94, costituisce uno “strumento” per individuare soluzioni – e, come tale, non è esso stesso, quindi, “la soluzione” – sorgono legittimi interrogativi sui motivi che inducono taluni a voler eliminare gli spazi di confronto, nell’ambito dei quali poter eventualmente esercitare un ruolo propositivo in termini di fattiva collaborazione per la costruzione di un progetto efficace e condiviso, invocando uno scenario – quello del commissariamento – che, per sua natura, prevede una gestione accentrata e unilaterale dell’Ente.
In particolare:
1. E’ singolare che, a più riprese, si punti l’attenzione sulla “gestione patrimoniale” dell’Ente, quando – in particolare nel corso degli ultimi anni – è stato proprio l’utile generato da questa gestione a consentire di compensare il disavanzo della gestione previdenziale, a riprova dell’efficace azione posta in essere per perseguire gli interessi dell’Istituto (e non di qualche privato orientato magari ad acquistare appartamenti a prezzi di comodo, inferiori a quelli di mercato).
E’ possibile ipotizzare che qualcuno possa ritenere che attraverso la nomina di un commissario, con il quale eventualmente interloquire, sia finalmente possibile tutelare meglio i propri interessi e, magari, sull’onda dell’esigenza di reperire risorse liquide per l’Istituto, ottenere quei vantaggi invano richiesti nel corso degli anni sul fronte, per esempio, della “svendita” del patrimonio immobiliare a prezzi di assoluto favore rispetto ai valori di mercato?
2. E’ di tutta evidenza che la causa dell’andamento finanziario negativo derivi da fattori esogeni – connessi alla contrazione del mercato del lavoro giornalistico – rispetto alla gestione dell’Ente, in relazione alla quale nessun organismo di vigilanza e controllo ha mai evidenziato l’esistenza di anomalìe sul piano civile, amministrativo o penale, né avviato procedimenti previsti per i casi di irregolarità. Ogni riferimento ad ipotetiche “responsabilità gestionali” suona, quindi, come un attacco strumentale, finalizzato unicamente a screditare l’azione di governo dell’Ente e non a individuare soluzioni propositive per superare le criticità di bilancio.
E’ possibile immaginare che qualcuno sia interessato esclusivamente ad azzerare – e, in ipotesi, un domani poter sostituire – una classe di amministratori democraticamente eletti – e quindi legittima espressione della categoria – per perseguire, magari, interessi difformi da quelli strettamente istituzionali?
3. L’azione di controllo e repressione delle irregolarità e dell’evasione contributiva nelle materie di competenza dell’INPGI costituisce – sin dalla ricostituzione del servizio ispettivo, avvenuta nel 1997, all’indomani della privatizzazione – un elemento di presidio a tutela delle condizioni di lavoro e del rispetto della legalità previdenziale nel settore editoriale, la cui efficacia – proprio in quanto organismo di controllo ad elevata specializzazione tecnico-giuridica – ha consentito, per oltre un ventennio, di conseguire risultati ragguardevoli. In estrema sintesi, oltre 2.000 ispezioni effettuate, circa 240 milioni di contributi e sanzioni non versati nelle casse dell’Ente accertati, più di 4.500 posizioni lavorative non denunciate all’INPGI riscontrate.
E’ ipotizzabile il coagularsi di un centro di interessi volto a rimuovere uno strumento così efficace di presidio, controllo e repressione delle irregolarità nello specifico campo previdenziale di pertinenza dell’Istituto?
Questi sono solo alcuni degli interrogativi che più facilmente balzano all’occhio. Ve ne potrebbero essere, verosimilmente, molti altri e tutti legati alla stessa questione: chi ha interesse a mettere le mani sull’INPGI e, quindi, su un patrimonio che resta tuttora ragguardevole e la cui unica funzione è – e deve rimanere – di garantire le prestazioni previdenziali in favore degli iscritti?
Che siano proprio le “perplessità” sul progetto a destare maggiore perplessità?
Marina Macelloni presidente dell'INPGI