PENSIONI - La Consulta spiega la sua sentenza sul contributo di solidarietà
La sentenza 173/2016 sul contributo di solidarietà e sulla rivalutazione decrescente spiegata, fatto insolito, con una sintesi di 6 pagine ("PER CAPIRE") dalla stessa Corte costituzionale: "Per superare lo scrutinio “stretto” di costituzionalità, quel contributo «deve: operare all’interno del complessivo sistema della previdenza; essere imposto dalla crisi contingente e grave del predetto sistema; incidere sulle pensioni più elevate (in rapporto alle pensioni minime); presentarsi come prelievo sostenibile; rispettare il principio di proporzionalità; essere comunque utilizzato come misura una tantum», nel senso che «non può essere ripetitivo e tradursi in un meccanismo di alimentazione del sistema previdenziale». Legittima la «rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici» in misura progressivamente decrescente dal 100 al 40 per cento. Ciò in quanto si è ravvisato non un “blocco integrale” della rivalutazione, bensì una misura di rimodulazione della percentuale di perequazione automatica, rispondente «a criteri di progressività, parametrati sui valori costituzionali della proporzionalità e della adeguatezza dei trattamenti di quiescenza».
"PER CAPIRE: sintesi della sentenza"
Con la sentenza n. 173 del 2016, la Corte costituzionale ha preso in esame le censure formulate da varie Sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti, relative al cosiddetto «contributo di solidarietà» (dal 6 al 18 per cento) introdotto nel triennio 2014-2016 sulle pensioni di importo più elevato, e cioè superiore da 14 a oltre 30 volte al trattamento annuo minimo INPS. Si tratta delle disposizioni di cui all'art. 1, comma 486 della legge n. 147 del 2013. La Corte ha dichiarato non fondate tutte le questioni sollevate. Ha ritenuto infatti che il contributo di solidarietà in contestazione non colpisce le pensioni erogate negli anni (2011-2012), colpite dal precedente contributo perequativo, dichiarato costituzionalmente illegittimo, in ragione della sua accertata natura tributaria, con la sentenza n. 316 del 2013; «colpisce, invece, sulla base di differenti presupposti e finalità, pensioni di elevato importo nel successivo periodo, a partire dal 2014». E ciò esclude che la disposizione impugnata eluda il giudicato costituzionale di cui alla sentenza n. 316, e che violi l'articolo 136 della Costituzione.
Ha del pari escluso che quel prelievo rivesta la natura di imposta non essendo acquisito allo Stato né destinato alla fiscalità generale, ed essendo invece prelevato in via diretta dall’INPS e dagli altri enti previdenziali coinvolti, i quali - anziché versarlo all’Erario in qualità di sostituti di imposta - lo trattengono all’interno delle proprie gestioni, con specifiche finalità solidaristiche endo-previdenziali, anche per quanto attiene ai trattamenti dei soggetti cosiddetti “esodati”.
La Corte ha quindi precisato che, in linea di principio, il contributo di solidarietà sulle pensioni «può ritenersi misura consentita al legislatore ove la stessa non ecceda i limiti entro i quali è necessariamente costretta in forza del combinato operare dei canoni di ragionevolezza, di affidamento e della tutela previdenziale (artt. 3 e 38 Cost.), il cui rispetto è oggetto di uno scrutinio “stretto” di costituzionalità, che impone un grado di ragionevolezza complessiva ben più elevato di quello che, di norma, è affidato alla mancanza di arbitrarietà».
Ed ha aggiunto che, per superare un tale scrutinio “stretto” di costituzionalità, e configurarsi dunque come misura improntata effettivamente alla solidarietà previdenziale (artt. 2 e 38 Cost.), quel contributo «deve: operare all’interno del complessivo sistema della previdenza; essere imposto dalla crisi contingente e grave del predetto sistema; incidere sulle pensioni più elevate (in rapporto alle pensioni minime); presentarsi come prelievo sostenibile; rispettare il principio di proporzionalità; essere comunque utilizzato come misura una tantum», nel senso che «non può essere ripetitivo e tradursi in un meccanismo di alimentazione del sistema previdenziale».
La Corte ha, pertanto, concluso che «tali condizioni appaiono, sia pur al limite, rispettate nel caso dell’intervento legislativo in esame», in quanto il contributo in questione «opera all’interno del circuito previdenziale, che concorre a finanziare, in un contesto di crisi del sistema stesso, acuitasi negli ultimi anni, per arginare la quale il legislatore ha posto in essere più di un intervento, contingente o strutturale, tra cui, in particolare, proprio quelli per salvaguardare la posizione dei lavoratori cosiddetti “esodati”». Il contributo inoltre, «riguarda le pensioni più elevate, ossia quelle il cui importo annuo si colloca tra 14 a 30 e più volte il trattamento minimo di quiescenza, incidendo in base ad aliquote crescenti (del 6, 12 e 18 per cento), secondo una misura che rispetta il criterio di proporzionalità e, in ragione della sua temporaneità, non si palesa di per sé insostenibile, pur innegabilmente comportando un sacrificio per i titolari di siffatte pensioni».
Infine, anche sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, rispetto alla legislazione siciliana, la questione è stata ritenuta non fondata, concernendo misure di risparmio di spesa rimesse all’autonomia della Regione a statuto speciale e relative a soggetti che non fanno parte del circuito della previdenza obbligatoria.
Con la stessa sentenza la Corte ha dichiarato non fondata anche l’ulteriore questione (sollevata dalla sola sezione contabile per la Regione Calabria) di legittimità costituzionale della «rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici» (di cui al comma 483 dell'art. 1 della legge n.147 del 2013) in misura progressivamente decrescente dal 100 al 40 per cento, in corrispondenza all’importo del trattamento pensionistico, rispettivamente, superiore da tre a sei volte il trattamento minimo INPS.
Ciò in quanto si è ravvisato non un “blocco integrale” della rivalutazione (come quello dichiarato incostituzionale dalla sentenza n. 70 del 2015), bensì una misura di rimodulazione della percentuale di perequazione automatica, rispondente «a criteri di progressività, parametrati sui valori costituzionali della proporzionalità e della adeguatezza dei trattamenti di quiescenza» (come già riconosciuto nella stessa sentenza n. 70 del 2015).